venerdì 4 novembre 2016

La verità sul functional training


Articolo estratto da Kettlebell-Mag e Allenamento funzionale
Scritto da Luca Corona
blog: www.cormotion.wordpress.com
facebook: Cormotion
ASD Ghirisport Sardegna


Da 10 anni ormai sentiamo parlare di “funzionale” o “functional”. Da quando il termine ha avuto successo nel mercato del fitness e della preparazione atletica tutti gli pseudo istruttori hanno iniziato a vendere questo nome, spacciando quello che hanno sempre fatto per allenamento funzionale.
Secondo molti l’allenamento funzionale è quello che serve “per migliorare le proprie qualità psicofisiche in modo da rispondere prontamente alle vicende della vita quotidiana!” OYEAH! belle parole, bello slogan, ma alla fine di che stiamo parlando? Vicende della vita quotidiana…quali? Alzarsi dal letto? Bere una birra al bar? Guidare?
La verità è che nella vita quotidiana se non ci alleniamo siamo sedentari, quindi allenarci per rispondere meglio alla sedentarietà la vedo come una vera e propria cazzata.
Si ma l’allenamento deve essere funzionale, a che?


“Un vero allenamento o preparazione o come lo vogliamo chiamare per dirsi veramente funzionale deve essere costruito sulla base della disciplina praticata”.
Nel senso che se da me viene un praticante di arti marziali (krav maga, wing chun, muay thai, savate, tombola) io devo analizzare gli scopi, i tempi, gli obiettivi della disciplina e da lì partire per costruire la seduta di allenamento.  Per il praticante la preparazione atletica resta un punto focale per il proprio miglioramento, non solo a livello di forza muscolare, ma anche di capacità coordinative, resistenza e mobilità.
Nell’uomo comune invece un allenamento di questo tipo punterà ad eliminare i punti deboli (scarsa mobilità, ipotrofia, difetti posturali) in modo da migliorare il suo stato di benessere e forma fisica generali e non migliorare la capacità di portare a casa le buste della spesa.
Ora. Nelle arti marziali riguardo la preparazione atletica e il mondo dell’allenamento c’è un alone di misticismo e luoghi comuni che difficilmente si trova in altre discipline. E questo vale sia per le arti marziali volte alla difesa personale, sia agli sport da combattimento e che alla pratica semplicemente come bagaglio culturale.
Negli sport da ring fino a poco tempo fa la preparazione fisica veniva presa di sana pianta da programmazioni adatte ad altre discipline (corsa, nuoto, bodybuilding, etc..), non si pensava ad un allenamento specifico per le richieste fisico-metaboliche che la propria arte richiedeva e spesso si cadeva (e ancora oggi spesso si cade) nell’errore di voler migliorare ogni capacità condizionale contemporaneamente. Questo ovviamente risulta impossibile (sarebbe troppo bello e troppo facile), qui rubo la frase ad Andrea B. del Project InVictus dicendo che: “le capacità del nostro corpo sono come una “coperta corta”, quanto più tiriamo da una parte, meno avremo dall’altra”. Durante una stagione quindi, l’allenamento sarà veramente funzionale se capacità di questo tipo saranno selezionate in base a quelli che sono gli “adattamenti” (dovuti ad un allenamento fatto con criterio) necessari a raggiungere la massima performance.


Questo non solo sul ring, ma anche nella vita. Quanti corsetti di street fighting conosciamo? Autodifesa etc. Magari con 10 euro in più ti danno anche la preparazione funzionale. A tal proposito, prendiamo come esempio una ragazza che non sa cosa sia la fatica, il dolore, il sudore, che non si è mai sentita il cuore schizzare a mille in 2 secondi, che non è abituata ad andare avanti nonostante l’acido lattico gli blocchi i muscoli, il fiato ormai andato e la sua muscolatura gli consente al massimo di sollevare una matita. Come possiamo pretendere che questa riesca a stare calma e ad adoperare tutte le tecniche necessarie a risolvere un aggressione nel migliore dei modi?
Fortunatamente io non mi sono mai dovuto confrontare con queste situazioni, nella mia esperienza da praticante di sport da combattimento ho trovato diverse similitudini con il confronto fra ciò che viene fatto in palestra e quello che succede sul ring.
Possiamo essere campioni ai focus, ai pao, gridare quando colpiamo il sacco etc. Ma non basta. L’allenamento e la preparazione devono insegnare spirito di sacrifico e costringere la classe o il singolo allievo a dare il massimo non solo da lucidi ma soprattutto sotto stress, sia questa fatica fisica o psichica.
Se questo è vero per uno sport da combattimento lo è per qualunque altra disciplina e quindi, di conseguenza, risulta fondamentale sviluppare una certa freddezza ed attitudine mentale; questo è possibile ottenerlo non solo tramite l’allenamento tecnico, ma anche con la preparazione fisica.
Quindi in sostanza cos’è l’allenamento funzionale?
Possiamo dire che questo sia il metodo di allenamento che consenta alla persona di migliorare le proprie capacità psicofisiche in funzione della disciplina, e che le insegni a resistere alla fatica e al dolore in modo da poter rispondere al meglio ad un’aggressione.
Da questo si deduce che possiamo riempirci la sala di clave, kettlebell e via dicendo, ma se non utilizziamo questi attrezzi in un determinato modo non otterremo mai un vero risultato. Per intenderci ho visto insegnanti di functional far fare curl con due kettlebell da 8kg ad individui di 80kg, cosa ridicola e macabra.
La gestione dell’allenamento dovrebbe partire da due punti fondamentali:
  1. L’analisi dell’atleta o della classe;
  2. Gli obiettivi che si intendono raggiungere;
Da questo si capisce quanto il metodo dell’allenamento funzionale risulti differente da tutti i corsetti fitness che si vedono in giro.

L’obiettivo come punto di partenza e di arrivo:

Pensi a quello che stai facendo o fai la fine di quelli che fanno le cose perché gli hanno detto di fare così e non sanno il perché di quel che vanno ad eseguire?
Il non avere uno scopo preciso è il primo passo verso la sconfitta, l’insuccesso. Anzi anche peggio perché la sconfitta e l’insuccesso danno per scontato che vi sia un obiettivo dietro, un traguardo da raggiungere.
Ecco, nella maggior parte dei casi reali manca questo, UN TRAGUARDO CONCRETO E QUANTIZZABILE.
Perché mi alleno? La domanda che ogni tanto lo sportivo dei tre giorni a settimana si pone. E molto spesso non c’è risposta. Si ma allora “de che stiamo a parlà?”, se si vogliono avere veri risultati in palestra ma in qualunque disciplina le cose da fare sono semplici (su carta):
  1. Verificare lo stato “di partenza” (valuto il mio livello);
  2. Mi pongo un obiettivo;
  3. Mi alleno;
  4. Ho realizzato quello che volevo? ;
Questo percorso per quanto semplice non viene cagato neanche di striscio, l’utente medio stà al “mi alleno?”.
Ma ci sono obiettivi ed obiettivi, l’ipertrofia muscolare non è un parametro monitorizzabile e quantizzabile, entrano in gioco talmente tanti fattori che non si può ricondurre il successo o il fallimento al solo allenamento. Quindi programmi che hanno come scopo “la massa” non hanno nulla di fondato, e qui torniamo al classico esoterismo spicciolo del nostro ambiente.
Un allenatore/istruttore non può stendere un allenamento pretendendo che il suo atleta lo esegua se questo non sa realmente cosa vuole dal suo allenamento. Questo molto spesso non avviene solo nel settore fitness, ma anche nel mondo delle discipline sportive.
Vediamo ragazzi di 1,90 per 60kg sbraitare sotto al bilanciere con carichi e sollevamenti improponibili mentre di fianco anziani e ragazzi si allenano con i pesetti da 0,5kg “per tonificare” …certe scene lasciano l’amaro in bocca.
Ma la colpa non è degli utenti, è di chi lavora in quest’ambiente. La credenza che basti una scheda standard e il programmino magico che faccia migliorare tutti è ancora molto in voga nonostante in parte il vento stia cambiando.
Leggo ancora su diversi siti internet che dovrebbero mandare avanti la cultura dell’allenamento fatto con criterio, schedine buttate lì alla buona con un elenco infinito di esercizi e con altissime ripetizioni. SI MA QUAL’E’ L’OBIETTIVO? A CHE SPECIE ANIMALE E’ INDIRIZZATO IL PROGRAMMA? SU CHE BASI CREI QUESTO PROGRAMMA? Boh! per tonificare?!
Ecco, l’utente abbandonato a se stesso non ha uno scopo, vagando nei parchi, nelle palestre senza una meta, quando chi lo segue è senza dubbio un emerito coglione.
Magari questi erano delle amebe e fare piegamenti a cavolo, affondi e crunch allo sfinimento gli hanno dato una parvenza di umanità, ecco che l’istruttore diventa un dio per il pane che ha donato.
Da questa breve vignetta intuiamo che Il “goal setting” assume un’importanza fondamentale nella programmazione, ma soprattutto durante l’allenamento! Lo sappiamo tutti che se abbiamo un traguardo da raggiungere mettiamo più impegno di quanto ne metteremo facendo le cose a c***o di cane.
Gli obiettivi possono essere a breve e/o a lungo termine, molto spesso tra il punto di partenza e il punto di arrivo si pongono appunto dei traguardi (parliamo in ambito prestativo come ad esempio kg, km percorsi ecc.) che ci aiuteranno a verificare se la strada che stiamo percorrendo è quella giusta.
Questi dovranno essere:

Stimolanti>    Ottenibili>       Realistici>       Specifici

Quindi è necessario porsi degli obiettivi stimolanti e sfidanti ma non impossibili e che siano relazionati in base alla disciplina o al compito che intendiamo realizzare.
Nella stessa disciplina vi saranno però atleti che hanno deciso di intraprendere quella strada sulla base di obiettivi differenti. I più competitivi, interessati a primeggiare, indipendentemente dal come (il fine giustifica i mezzi) tenderanno ad avere obiettivi legati al risultato, dove ad esempio in una competizione, lo scopo è vincere, non importa di quanto e non importa come.
Questo sicuramente è già qualcosa, sicuramente meglio che andare ad iscriversi in uno sport perché almeno così ci si passa il tempo… (e si alleggerisce il portafoglio soprattutto).
Ma gli obiettivi che più stimolano l’incremento delle abilità e la motivazione sono quelli dei “nobili” atleti, che puntano a dare il massimo in ogni momento, ottenere il massimo indipendentemente da vittoria o sconfitta, in questo caso sono legati alla prestazione e al processo con cui si è incorsi nei risultati.
Non è più la vittoria ad essere al centro dell’attenzione, ma il percorso, il come si arriva al traguardo, ad essere importante, quindi se c’è vittoria ma non miglioramento l’obiettivo non è stato raggiunto. Questa tipologia risulta molto più stimolante rispetto alla precedente perché oltre a mettersi in relazione con gli altri, l’atleta sfida anche se stesso in ogni gara. Anche perché gioire perché si è primeggiato in mezzo a mezze seghe non è che sia poi molto stimolante… non pensate?
Questo tipo di obiettivo è poi strettamente legato al secondo, visto come “obiettivo finalizzato al processo”, cioè è importante il “come faccio la gara”, come la gestisco, come la porto avanti, ma soprattutto il livello tecnico che possiedo in quel contesto.
Se noi puntiamo unicamente al risultato e tralasciamo il “percorso” prima o poi ci immergeremo in un vortice incredibile di mediocrità, non arriveremo mai al limite delle nostre “reali” possibilità, si diventa “i campioni del campetto” o “il grosso della palestra in mezzo a secchi”.

In questo articolo abbiamo parlato di che cos’è in sostanza la realtà del functional, lontano da mode e marchi, per andare al nocciolo: vuoi essere funzionale? Allora devi avere un obiettivo da raggiungere! La funzionalità a qualcosa consiste nel percorso che fai per raggiungere una specifica finalità… tutto il resto sono solo discorsi da you tubers!


Kettlebellmag & MyBOX
ottobre/dicembre 2016